sabato 3 marzo 2018

Il lavoro di Adamo

« A volte » disse « domando al vecchio Alex il nome di una pianta e lui mi risponde "nessun nome", intendendo: "nel mio paese questa pianta non cresce"».
Lei allora cercava un informatore che da bambino avesse vissuto dove la pianta cresceva, e scopriva che dopotutto un nome ce l'aveva. Il «cuore arido» dell'Australia, disse, era un mosaico di microclimi, dove diversi erano i minerali nel terreno e diversi gli animali e le piante. Un uomo cresciuto nel deserto conosceva a menadito la sua flora e la sua fauna, sapeva quale pianta attirava la selvaggina, sapeva che acqua bere. Sapeva dove sottoterra c'erano dei tuberi. In altre parole, dando un nome a tutte le "cose" del suo territorio, un uomo poteva sempre contare di sopravvivere.
«Ma se lo porti in un'altra regione con gli occhi bendati, - disse - magari va a finire che si perde e muore di fame». « Perché ha perso i suoi punti di riferimento?». « Sì.»
« Ossia l'uomo “crea” il suo territorio dando un nome alle “cose" che ci sono?»
« Proprio così.» Il suo volto si illuminò.
«Quindi è possibile che il presupposto di una lingua universale non sia mai esistito?».
«Sì ». Ancora oggi, disse Wendy, quando una madre aborigena nota nel suo bambino i primi risvegli della parola, gli fa toccare le "cose" di quella particolare regione: le foglie, i frutti, gli insetti e così via. Il bambino, attaccato al petto della madre, giocherella con la "cosa", le parla, prova a morderla, impara il suo nome, lo ripete - e infine la mette in un Canto.
« Noi diamo ai nostri figli fucili e giochi elettronici» disse Wendy.« Loro gli hanno dato la terra».

Bruce Chatwin, Le vie dei canti, pag.283 traduzione di Silvia Gariglio, ed.Adelphi 1991



(disegni di Hoefnagel, scrittura di Bocskay; 1525)



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