giovedì 27 luglio 2017

Tempesta di foglie

E' un pezzo che Pel di Carota, assorto, tien d’occhio la foglia più alta del pioppo grande. Fantastica, aspettando che si muova. Pare staccata dall’albero, si direbbe che viva a sé, sola, senza gambo, libera. Ogni giorno si indora al primo e all’ultimo raggio di sole. Da mezzogiorno sta lì immobile, come morta, pare una macchia piuttosto che una foglia, e Pel di Carota si spazientisce, a disagio, quando finalmente la foglia fa un segno. Sotto di lei, una foglia vicina fa lo stesso segno. Altre foglie lo ripetono, lo comunicano alle foglie vicine, che lo trasmettono rapidamente. E' un segno d’allarme, perché all’orizzonte compare l'orlo d’una calotta bruna.
Il pioppo rabbrividisce già! Tenta di muoversi, di smuovere i grevi strati d’aria che lo impacciano.
La sua inquietudine contagia il faggio, una quercia, gli ippocastani, tutti gli alberi del giardino avvertono a gesti che nel cielo la calotta si allarga, spinge innanzi il suo orlo netto e cupo.
Prima agitano le rame sottili, zittiscono gli uccelli, il merlo che gettava qualche nota a casaccio, come un pisello verde, la tortorella che Pel di Carota un momento fa vedeva versare a scatti il suo tubare dalla gola variopinta, la gazza intollerabile con quella sua coda da gazza. Poi mettono in moto i grossi tentacoli, per spaventare il nemico. La calotta livida continue la sua lenta invasione. Soffitta a poco a poco il cielo. Ricaccia il sereno, tura i buchi che potrebbero lasciar entrare l’aria, si prepara a soffocare Pel di Carota. A volte si direbbe che cede sotto il suo stesso peso, sta per cadere sul villaggio ma si ferma sopra la punta del campanile, teme di stracciarvisi.
Eccola così vicina che, senz’altra provocazione, il panico si scatena, s’alzano fragori. Gli alberi confondono le masse scure e corrucciate in fondo alle quali Pel di Carota immagina nidi pieni d’occhi tondi e di becchi bianchi. Le vette si tuffano e raddrizzano come teste svegliate di soprassalto. Le foglie scappano a branchi, tornan subito, impaurite, ammansite, e tentano di riappiccarsi. Quelle fini dell’acacia sospirano, quelle della betulla scorticata si lagnano; quelle dell'ippocastano fischiano, e le aristolochie rampicanti gorgogliano inseguendosi sul muro.
Più giù i meli tozzi scuoton le mele, fan suonare il terreno di tonfi sordi. Più giù i ribes sanguinano gocce rosse, i ribes neri gocce d’inchiostro. E più giù i cavoli ubriachi agitano le orecchie di asino e le cipolle si urtano tra loro, spaccano le palle gonfie di semi. Perché mai? Cos’hanno mai? E che cosa vuol dire tutto questo? Non tuona. Non grandina. Né un lampo né una goccia d’acqua. E' quel nero tempestoso lassù, quella notte silenziosa in pieno giorno che li fa impazzire, che spaventa Pel di Carota.
Ora la calotta è completamente spiegata sotto il cielo nascosto. Si muove. Pel di Carota lo sa; scivola, fatta di mobili nubi; lei scomparirà, lui rivedrà il sole. Tuttavia, benché soffitti del tutto il cielo, la calotta gli stringe la testa. Lui chiude gli occhi e lei gli benda le palpebre, dolorosamente.
Lui si caccia le dita nelle orecchie. Ma la tempesta entra in lui, dal di fuori, coi suoi gridi, il suo turbine. Gli afferra il cuore come una cartaccia sulla strada. Lo spiegazza, lo gualcisce, lo accartoccia, lo appallottola. E Pel di Carota non ha ormai più che un cuoricino da nulla, una pallottola di cuore.

(Jules Renard, Pel di Carota, pag.149 ed. BUR 1951, traduzione Piero Bianconi)
(dipinto di Pieter Kluyver, 1816-1900)

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