martedì 31 gennaio 2017

Granchi

Noi uomini siamo impenetrabili. Gli spiriti, come i corpi solidi, non possono comunicare se non con le superfici e non penetrano gli uni negli altri e meno che meno si fondono insieme. Mi hai inteso dire tante volte che la maggior parte degli spiriti mi sembrano "dermatoscheletri", come i crostacei cioè, con le ossa al posto della pelle e la carne dentro. E quando lessi, non rammento bene in che libro, quanto sarebbe doloroso e terribile per uno spirito umano dovere incarnarsi in un granchio e servirsi dei sensi, organi e membri di questo crostaceo, dissi a me stesso: ma se succede proprio così nella realtà! Noi non siamo infatti che poveri granchi rinchiusi nel duro carcere di una dura crosta.
(Miguel de Unamuno, La tragedia del vivere umano, da Ensayos vol. VI, pag.109 edizione Dall'Oglio 1965)

domenica 29 gennaio 2017

Cani, amicizia, amore



Un quarto di secolo più tardi, durante le riprese di Le Fleuve (Il fiume, 1950) avrei scoperto in India passioni dello stesso genere. E forse è questo che mi ha fatto tanto affezionare a quel paese. La parola amicizia in India non funziona: lì ci vuole la parola amore. O ci si ama o ci si detesta. L'amicizia consiste nell'approfittare della presenza dell'amico, senza dire niente. A un cane piace stare seduto accanto al padrone, eppure non si dicono niente. D'altra parte non esistono padroni, né servitori, negli scambi sentimentali. Le amicizie occidentali invece si costruiscono su una sorta di baratto. Si vuol bene all'amico perché ci aiuta negli affari, o perché ci racconta storielle divertenti, o perché lo ammiriamo. In India capita di incontrare esseri umani che si amano senza nessuna ragione. L'amico va a trovare l'amico. Entra discretamente nella stanza dove l'altro sta riposando. Si accovaccia a terra e, senza dire una parola, resta a guardare l'altro vivere alcune ore della sua vita. Poi si alza e se ne va, riconfortato da quella visita.
Il cane si lascia morire sulla tomba del suo padrone. Non è per devozione, o per riconoscenza. E' perché l'assenza del padrone crea un vuoto nel quale gli è impossibile respirare. L'amicizia indiana va al di là del disinteresse. È un bisogno fisico. E come se esistesse un misterioso radar che stabilisse tra gli esseri che sentono tra di loro delle affinità un sistema di comunicazione inconcepibile per i nostri cervelli di matematici.
(Jean Renoir, La mia vita e i miei film, ed. Marsilio, pag.63)

(la fotografia è di Brassai) 

venerdì 27 gennaio 2017

Romero



         Don Quixote di Walter Solon Romero
"sarebbe bene, Sancio, che tornassi a medicarmi quest'orecchio, che mi duole più del necessario". Fece Sancio ciò che gli veniva ordinato, e uno dei caprai, osservando la ferita, gli disse di non preoccuparsi, che ci avrebbe messo lui un medicamento che l'avrebbe fatta guarire facilmente. E staccate alcune foglie di rosmarino, che si trovava lì in abbondanza, le masticò, le mescolò con un pò di sale e applicategliele ben bene all'orecchio, glielo bendò accuratamente, assicurandogli che non avrebbe avuto bisogno di altra medicina; e così fu.

 da  Don Chisciotte della Mancia di M. Cervantes
 ed. Einaudi
 

martedì 24 gennaio 2017

Un'ape in inverno


I am a bee out in the fields of winter
And though I memorized the slope of water,
Oblivion carries me on his shoulder:
Beyond the suns I speak and circuits shiver,
But though I shout the wisdom of the maps,
I am a salmon in the ring shape river.
(Larry Beckett & Tim Buckley, da "Starsailor", anno 1970)
io sono un'ape fuori nei campi, d'inverno; e so ricordare il declivio dove scorre l'acqua, ma l'oblio mi porta via sulle sue spalle...

Tra le più difficili da ascoltare, con probabile ispirazione nel Ligeti di "Odissea nello Spazio", è anche un'immagine del percorso di vita di Tim Buckley stesso: delicato e sensibile troubadour ai suoi inizi, non ancora diciottenne; poi bluesman introverso, spesso vicino al miglior jazz; poi vicino alla musica colta contemporanea (pur non essendo un musicista colto), infine sperduto come un'ape nel gelido inverno, alla ricerca di un fiore, perso nella musica commerciale senza saper fare musica commerciale, funk senza esserlo, destinato a una tragica fine.
La musica non è di primo ascolto, forse neanche di secondo; il testo di Larry Beckett (amico e compagno di scuola di Tim Buckley, autore di molti dei testi delle sue canzoni), a me sembra bellissimo. Anch'io mi sento così, sempre più spesso: un'ape d'inverno, un salmone in un fiume circolare... così è la nostra vita, o così sembra che sia, in certi momenti - senza punti di riferimento, in un mondo estraneo o impazzito.
Al di là dei soli io parlo e i circuiti si frantumano per il gelo, e benché io gridi la saggezza delle mappe, sono un salmone che nuota in un fiume fatto ad anello.

domenica 22 gennaio 2017

Il giardino del Carteggio Aspern


" La temperatura era molto alta; era una di quelle notti che si sarebbero volentieri trascorse all'aperto, e non avevo ancora fretta di andare a letto. Ero tornato a casa in gondola, ascoltando il lento tonfo del remo nei canali angusti e bui, e ora l'unico pensiero che mi allettasse era la vaga considerazione che sarebbe stato piacevole sdraiarsi su un sedile del giardino nell'oscurità odorosa. Alla base di questo desiderio c'era senza dubbio l'odore del canale, e il respiro del giardino, non appena vi entrai, dette consistenza al mio proposito. Era delizioso - la stessa aria che doveva aver tremato ai voti di Romeo, quando egli se ne stava in mezzo ai fiori e levava le braccia verso il balcone della sua amata. Guardai le finestre del palazzo per vedere se l'esempio di Verona ( essendo Verona non molto distante ) non fosse stato seguito; ma era tutto buio, come al solito, e tutto silenzioso. "
Henry James, Il carteggio Aspern
ed. Alia
traduzione di Angelita La Spada


villa Eden
Il giardino descritto da James nel Carteggio Aspern è molto probabilmente il giardino Eden nell'isola della Giudecca.

Frederic Eden, un gentiluomo inglese, nel 1880 rilevò ciò che rimaneva dell'antico orto del convento della Croce e ne fece un giardino ricco di alberi, arbusti mediterranei e tropicali e di fiori, rose soprattutto. Il giardino e la villa furono successivamente della principessa Aspasia di Grecia e di sua figlia Alessandra. L'ultimo proprietario è stato l'architetto austriaco Hunderwasser, l'artefice delle residenze più colorate di Vienna ( qui ).
 

All’origine di The Aspern papers c’è probabilmente una vicenda di cui Henry James aveva preso nota nel suo diario durante un suo soggiorno fiorentino. Gli era stato raccontato che un critico d’arte di Boston desiderava impossessarsi di lettere di Shelley e Byron custodite da un’anziana signora a Firenze. Il seguito della storia, compreso lo stratagemma messo in atto dal critico bostoniano per impossessarsi del carteggio, viene ripercorso da James nel suo lungo racconto che, però, ha come scenario Venezia e personaggi con altra identità, sentimenti, modi di fare, quelli che l'autore loro regala. Nell’opera di James le lettere diventano quelle di un poeta americano, Jeffrey Aspern, e sono custodite da Juliana, una enigmatica, decrepita signora americana che da molti anni vive con la matura nipote in una dimora veneziana con tante sale silenziose e un giardino segreto.

venerdì 20 gennaio 2017

Lepisma saccharina


Questo lo conosciamo tutti, impossibile non averlo mai visto:
Per le dimensioni e il luccichio, sembra una lacrima. Gli scienziati lo chiamano "lepisma saccharina", ma lui risponde al nome di pesciolino d'argento, sebbene del pesce non abbia nulla e non conosca l'acqua. Si dedica a divorare libri, sebbene non abbia nulla del tarlo. Mangia quello che trova, romanzi, poesie, enciclopedie, a poco a poco, ingoiando una parola dopo l'altra, in qualsiasi lingua. Passa la sua esistenza nell'oscurità delle biblioteche. Del resto non si accorge nemmeno. La luce del giorno lo uccide. Sarebbe un erudito se non fosse un insetto.
(Eduardo Galeano, da "Le labbra del tempo" pag.129 ed. Sperling & Kupfer 2004, traduzione di Marcella Trambaioli)

martedì 17 gennaio 2017

Alberi



Perché siamo come tronchi nella neve. Posano in apparenza, leggeri, tu pensi di poterli smuovere con un lieve tocco. Invece no, non puoi, perché sono confitti al suolo. Ma, vedi, anche questa è solo apparenza.
(Franz Kafka, Gli alberi )


(Leonardo da Vinci, datato 1502)

domenica 15 gennaio 2017

Il gatto di Bach


Non è che se ne sappia poi molto, di Johann Sebastian Bach. Intendiamoci, sappiamo molte cose di lui: sappiamo tutto della sua musica, e tutti i nomi della sua famiglia di musicisti, per generazioni e generazioni; ci sono stati almeno tre secoli di Bach grandi compositori, e lui il più grande. Sappiamo che da giovane, prima di sposarsi e già musicista affermato, andò a piedi da Arnstadt fino a Lubecca per conoscere Dietrich Buxtehude (non aveva i soldi per pagarsi la carrozza); sappiamo che nel 1717 passò qualche giorno in prigione a Weimar, per un capriccio del principe locale che non voleva lasciarlo andare via; sappiamo che era molto impegnato con il suo impegno di Kantor presso la chiesa; sappiamo tante cose, ma poi com'era Johann Sebastian in famiglia? Pare che fosse un buon uomo, buon marito e buon padre, ma tutto questo bisogna un po' immaginarselo. Sappiamo però una cosa con certezza: in casa sua c'era un gatto, o forse una gatta, o magari più di un gatto, chissà; il disegno che porto qui sotto (una stampa d'epoca) è molto esplicito, in proposito. La vista di questo gatto (e della bambina che lo guarda) mi ha fatto tornare alla memoria una frase famosa detta da un grande interprete di Johann Sebastian Bach, il dottor Albert Schweitzer: « Esistono soltanto due strade per sfuggire alla miseria umana: suonare l'organo e giocare con i gatti.» Io non so suonare l'organo, purtroppo; ma qualche gatto o gatta l'ho pur conosciuto...


venerdì 13 gennaio 2017

dillo col glicine




Non conosco visione più straziante del glicine in fiore: quei grappoli azzurri che piangono lungo le volute del tronco-liana hanno ragione della mia poca flemma e mi trasformano in una grottesca tracimazione lamartiniana. Quand'ero piccolo, passavo le domeniche dalla nonna. Un glicine scalava il muro della casa. Già allora non capivo perchè, ma scoppiavo in singhiozzi di cui non mi sfuggiva il ridicolo.

martedì 10 gennaio 2017

Come l'edera


"...all'immagine dell'edera e del castello debbo una delle peggiori gaffe storico-botanico-letterarie della mia vita. Scegliendo come argomento di quel mio romanzo la prima crociata, non seppi resistere alla banale tentazione di mettere in scena il solito castello coperto d'edera, sotto il bel cielo autunnale del Casentino. Avevo un modello: la rocca di Porciano, dove a metà degli anni Settanta, mémoires d'Outretombes, ero stato nobilmente ricevuto dalla castellana, la contessa Marta Specht, che aveva sistemato al piano terreno della sua splendida dimora un museo di begli oggetti appartenenti a non ricordo più quale gloriosa nazione di quelli che il linguaggio politically correct di oggi obbliga a definire native Americans, ma che io - figlio d'una generazione che ha amato i film western ed è cresciuta con essi - preferisco continuare rozzamente a chiamar "pellerossa". (...)

lunedì 9 gennaio 2017

Dolphins


Siamo in California, all'inizio anni '60: "... ogni tanto penso a quei sabati da bambino, a tutto quel tempo quando correvamo liberi: ero lì fuori per cercare i delfini, nel mare. E ogni tanto mi chiedo: pensi ancora a me? Questo vecchio mondo non cambierà mai ciò che siamo stati, e tutte queste strade per la guerra non lo cambieranno ancora..."

Sometimes I think about Saturday's child
And all about the times when we were running wild
I've been out searching for the dolphins in the sea
Ah, but sometimes I wonder, do you ever think of me
This old world will never change the way it's been
And all the ways of war won't change it back again.
I've been out searchin' for the dolphins in the sea
Ah, but sometimes I wonder, do you ever think of me
This old world will never change...


Questa canzone non è stata scritta da Tim Buckley (è di Fred Neil), ma Tim Buckley la cantava sempre, in ogni suo concerto, come se fosse sua, con la sua voce inarrivabile.


sabato 7 gennaio 2017

Federigo Tozzi ( II )


Una mattina mi alzai con la voglia di uccidermi: dalla finestra pareva che anche il mio campo si travolgesse con me, nel vento; come mi volesse portar via tutti gli olivi. I muri della camera si facevano sempre più stretti, accostandosi insieme, e il mio respiro si mescolava con loro : sentivo il sapore della calcina. Sono certo che piangevo ! Mi pareva di cadere con la testa in giù, senza avere niente a cui sorreggermi. Un tratto, proprio dinanzi alla mia bocca, io vidi un ragnolino, quasi trasparente, attaccato, come un peso, al suo filo.
 (Federigo Tozzi, da "Bestie" pag.56 ed. Theoria 1987)



(disegno firmato Miss Wallflower, da internet)

giovedì 5 gennaio 2017

La città di porcellana

D'inverno, specialmente la domenica, ti svegli in questa città tra lo scrosciare festoso delle sue innumerevoli campane, come se dietro le tendine di tulle della tua stanza tutta la porcellana di un gigantesco servizio da tè vibrasse su un vassoio d'argento nel cielo grigio perla. Spalanchi la finestra, e la camera è subito inondata da questa nebbiolina carica di rintocchi e composta in parte di ossigeno umido, in parte di caffè e di preghiere. Non importa la qualità e la quantità delle pillole che ti tocca inghiottire questa mattina: senti che per te non è ancora finita. Alla stessa stregua, non importa se sei più o meno autonomo, se e quante volte sei stato tradito, se il tuo esame di coscienza è più o meno radicale, più o meno sconsolante: comunque stiano le cose, presumi che per te ci sia ancora speranza, o almeno un futuro. (La speranza, diceva Francesco Bacone, è una buona colazione ma una pessima cena). Questo ottimismo deriva dalla nebbiolina; dalle preghiere che ne fanno parte, specialmente se è ora della colazione. In giorni come questo la città sembra davvero fatta di porcellana: come no, con tutte le sue cupole coperte di zinco che somigliano a teiere, o a tazzine capovolte, col profilo dei suoi campanili in bilico che tintinnano come cucchiaini abbandonati e stanno per fondersi nel cielo. (...) D'accordo, questo è un ottimo posto per le lune di miele, ma ho pensato spesso che bisognerebbe provarlo anche per i divorzi - per quelli in corso e per quelli già conclusi. Non c'è migliore fondale per un'estasi, per una passione che debba sfumare in dissolvenza; nessun egoista, abbia ragione o torto, può fare il divo in mezzo a questo servizio di porcellana posato su un'acqua di cristallo, perché il fondale gli ruba la scena.".


Iosif Brodskij, Fondamenta degli incurabili

ed. Adelphi

traduzione di Gilberto Forti





martedì 3 gennaio 2017

Rabi'a

« Mi ammalai di una malattia che mi impedì di vegliare in preghiera e di alzarmi la notte (...) una notte, mentre ero coricata, mi parve, in sogno, di avanzare verso un giardino verdeggiante, dov'erano palazzi e belle piante. Mentre mi ci aggiravo, piena di meraviglia per la sua bellezza, ecco davanti a me un uccello verde e una giovane schiava che lo inseguiva come se volesse prenderlo. La bellezza di lei mi distrasse dalla bellezza dell'uccello. Dissi: "Perché vuoi prenderlo? Dimmelo! Io non ho mai visto un uccello più bello di questo." Disse: " Sì". Poi mi prese per mano e mi fece fare il giro del giardino, finché non mi condusse alla porta di un castello che era in quel luogo.
Chiese che fosse aperta la porta, e le fu aperta. (...) »
(tratto da "I detti di Rābi'a" a cura di Caterina Valdré, pag.42 edizione Adelphi 1992)


                                                             (dipinto di Georgia O'Keeffe)

lunedì 2 gennaio 2017

L'arca di Benjamin Britten


Noye’s Fludde, ( Il diluvio di Noè ) viene composto da Benjamin Britten per essere rappresentato da bambini, ragazzi, adulti professionisti e dilettanti, rispettando funzione e stile delle Sacre rappresentazioni medievali. Il libretto dell'opera è infatti  tratto dai Miracle Plays di Chester, la città inglese che nel Medioevo, per la festa del Corpus Domini, diveniva un grande palcoscenico per compagnie improvvisate che, nelle chiese e per le strade, rappresentavano  episodi biblici. I Miracle Plays non avevano solo una funzione educativa: nel Noye's Fludde ci sono anche situazioni comiche; una di queste riguarda la moglie di Noè che non ha alcuna intenzione di entrare nell'arca.
L’opera si apre con l’invocazione della salvezza da parte di un coro di bambini, seguita dall’annuncio di Dio di un diluvio prossimo e dalla costruzione dell’arca da parte di Noè e dei suoi familiari. Gli animali, per mettersi in salvo, entrano a coppie nell’imbarcazione. Finito Il diluvio,  Noè invia un corvo e una colomba per capire se le acque si sono ritirate e se è possibile lasciare il provvisorio rifugio. La gentile colomba torna portando nel becco un ramoscello d'ulivo, mentre il corvo, meno premuroso, rimane a scrutare i movimenti delle sue possibili prede sulla terra asciutta.