mercoledì 30 novembre 2016

« Have you had your tea? ».


Eravamo in un bel giardino, tenuto in ordine dai giardinieri del Collegio e curato personalmente con edoardiana finezza dalla moglie del Guardiano ("Direttore"), la nostra amica Thelma. C'erano aiuole di fiori, ogni specie di fiori, e Thelma ci diceva i nomi dei più esotici; c'erano forbite aiuole di ortaggi, arbusti ornamentali, ben curati alberi da frutto. Rientrando, sulla porta della scullery ci venne incontro una gatta, che usciva pigramente. Thelma le chiese, in perfetta serietà, « Have you had your tea? ». Incontrammo poi Emily. Thelma fece le presentazioni, il nome per me poetico (la Dickinson, e quella meravigliosa bambina in Giamaica) mi sembrò un po' incongruo per una gallina. Del resto non sarebbe stato un po' imbarazzante, quando fosse venuto il momento... non sapevo come dirlo delicatamente, insomma, metterà Emily in pignatta...mangiarla...
Thelma in principio non capiva. Mangiarla? Poi un lampo le squarciò la mente, non molto diverso da uno spasimo di terrore. Si riprese subito, gli stranieri dicono cose strane quasi per definizione, ma per fortuna le convenzioni della vita civile sono fatte proprio per allontanare dagli occhi, dalle orecchie, dal pensiero ciò che è crudo, orrendo... La gentilezza deve prevalere sul resto, i giovanotti stranieri in fondo non sono cattivi, è bene sorridergli, dirgli quietamente che Emily, no, davvero non è da mangiare, è un'amica... Emily gettava le sue occhiate sghembe di qua e di là. Mah! Sarà più assurdo allevarle impersonalmente nel pollaio e poi mangiarle, o invece trattarle da signorine au pair, immangiabili?

(Luigi Meneghello, Il dispatrio, pag. 124 ed.BUR 2007)


(le galline sono di Gustav Klimt, anno 1917)

domenica 27 novembre 2016

Scintilla, diamante


Dapertutto (con una p sola) è uno dei mefistofelici cattivi che popolano i racconti di Hoffmann, tra fine Settecento e inizio Ottocento. Persone all'apparenza normali, che noi frequentiamo come se fossero normali conoscenze, ma che lavorano per il male e per la nostra rovina; che ci rubano l'ombra, o l'immagine riflessa allo specchio, o chissà cos'altro ancora. Jacques Offenbach mette in musica i Racconti di Hoffmann a fine Ottocento; questa è l'aria di Dapertutto, che confida nelle pietre preziose e nei gioielli, non diversamente dal Mefistofele di Goethe con lo scrigno offerto a Margherita.




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Scintille, diamant,    
Miroir où se prend l'alouette,    
Scintille, diamant, fascine, attire-là    
L'alouette ou la femme a cet appas vainqueur    
Vont de l'aile ou du coeur    
L'une y laisse la vie    
Et l'autre y perd son âme.    
Beau diamant, scintille, attire-là.    
(scintilla, diamante, specchietto per le allodole... scintilla, diamante, affascinala, attirala.
Che sia allodola o donna, a quest'esca vincente vanno con le ali o con il cuore.
Una vi lascia la vita, l'altra vi perde l'anima.)

                                                                                  un clic qui per ascoltare l'aria

venerdì 25 novembre 2016

Federigo Tozzi


Che punto sarebbe quello dove s'è fermato l'azzurro ?
Lo sanno le allodole che prima vi spaziano e poi vengono come pazze vicino a me ?
Una mi ha proprio rasentato gli occhi, come se avesse avuto piacere d'impaurirsi così, fuggendo.

(Federigo Tozzi, Bestie, pag.17 ed. Theoria 1987)



(dipinto di Caspar David Friedrich)

martedì 22 novembre 2016

Sera d'autunno


In una sera d'autunno calda e umida arrivai in una città che mi era quasi sconosciuta; la poca luce delle strade era attenuata dall'umidità e dalle foglie degli alberi. Entrai in un caffè che si trovava vicino a una chiesa, mi sedetti a un tavolino in fondo e pensai alla mia vita. Sapevo ritagliarmi le ore di felicità e rinchiudermi in esse; innanzitutto rubavo con gli occhi dalla strada o dall'interno delle abitazioni una qualunque cosa dimenticata, e quindi la posavo nella mia solitudine. Provavo un tale piacere nel riesaminarla che se la gente lo avesse saputo mi avrebbe odiato.

da "Il coccodrillo" in Le Ortensie di Felisberto Hernández,
ed. laNuovafrontiera

Qui qualcosa sull'autore

Qui composizioni musicali di Felisberto Hernández

domenica 20 novembre 2016

Il gatto di Wilcock


Rientrai nel teatro col Riccardo III di Shakespeare, per la regia di Ronconi. (...) La traduzione era di Rodolfo Wilcock, letterato fine e personaggio singolare. L'avevo conosciuto a Velletri, dove viveva in una casa disadorna alitante di piccoli misteri. Gigi Proietti racconta di avere un giorno visitato Wilcock per parlare di una versione del Faust di Marlowe; Wilcock esponeva il suo pensiero con voce pacata quando un gatto attraversò la stanza DICENDO distintamente: «Io vado fuori, mi sono seccato.» Lo scrittore continuò a discorrere; dopo un paio di minuti Gigi non resse e chiese stupefatto: «Ma... io ho visto passare un gatto, poco fa...». «Sì, sì, il mio gatto.» «Ho capito, ma... Parla?» E Wilcock, secco: «Sì, ma non sempre. Dicevamo dunque che Faust...»

(Vittorio Gassman, Un grande avvenire dietro le spalle, pag. 188 ed. Longanesi 1981)



(dipinto di Adolf von Becker, 1863)

venerdì 18 novembre 2016

Ragni e Giardini


(la foto del ragno sulla finestra è mia)
In fondo al parco c'era un pergolato protetto da piante rampicanti, profumato di gelsomino e di caprifoglio; uno di quegli angolini deliziosi che, spinti da impulsi generosi, gli uomini erigono a esclusivo beneficio dei ragni.


(Charles Dickens, Il circolo Pickwick, pag.132 vol.1 ed. Garzanti 2003)

mercoledì 16 novembre 2016

Corcal



Un mar deserto
sensa vele e rumuri
de lontani vapuri
su l'urizonte inserto.
Ale ferme, un corcal
vilisa col maistral
ne l'alta solitae
de la fiamante istae.
Solo 'l sol, al so logo,
fermo, siguro,
difuso ne l'azuro
el grande fogo.
Solo elo nel spassio
fora d'ogni misura
in quel topassio
che te riduse a luse pura.

(Un mare deserto, senza vele né rumori di barche a vapore lontane, sull'orizzonte incerto. Ali ferme, un gabbiano veleggia col maestrale nell'alta solitudine dell'estate fiammante. Solo il sole, al suo posto, fermo, sicuro, diffuso nell'azzurro il gran fuoco. Solo lui nello spazio, fuori d'ogni misura, in quel topazio che ti riduce a luce pura.)
(Biagio Marin, pagina 205 dalla raccolta "Nel silenzio più teso" ed. Rizzoli 1981)

lunedì 14 novembre 2016

Il porcelet di Chartres



fai click qui








                                                      ( grazie a Grazia )

sabato 12 novembre 2016

Gli alfieri del tempo


Giulietta e Romeo hanno passato insieme la notte. Sentono cantare l’allodola, messaggera del mattino; Romeo deve fuggire prima che la luce del giorno riveli nella casa e nella città la sua presenza ma Giulietta cerca come può di trattenerlo ancora

l'usignolo e la rosa di D.K.Barton
Giulietta Vuoi già partire? Il giorno non è ancora vicino: era l’usignolo e non l’allodola, quello che che ti ha ferito col suo canto l’orecchio trepidante; esso canta tutte le notti su quel melograno laggiù: credi, amor mio, era l’usignolo.

Romeo Era l’allodola, messaggera del mattino, non l’usignolo: guarda amore come quelle strisce di luce, invidiose della nostra gioia, cingono di una frangia luminosa le nubi che si disperdono laggiù nell’oriente; i lumi della notte si sono spenti a poco a poco, e il dì giocondo si affaccia in punta di piedi sulle nebbiose cime delle montagne: io debbo partire e vivere, o restare e morire.


William Shakespeare, Romeo e Giulietta ,  Atto III , scena V  

giovedì 10 novembre 2016

Il cavallo di Brunilde


Nel mondo di Wagner, così come nella mitologia e nei racconti cavallereschi, spade e cavalli hanno sempre un nome: Baiardo, Bucefalo, Durlindana, Excalibur... Nell'Anello del Nibelungo la spada si chiama Notung, e il cavallo di Brunilde è Grane.
Grane, mein Ross!
Sei mir gegrüsst!
Weisst du auch, mein Freund,
wohin ich dich führe? (...)
Grane, mio cavallo! Abbi il mio saluto! Sai anche tu, amico mio, dove io ti conduco? Tra fuoco rilucente, là giace il tuo signore.
(Richard Wagner, parole e musica.)
E' il finale di "Götterdämmerung", Il Crepuscolo degli dèi, che chiude tutto il lungo percorso dell'Anello del Nibelungo. Non un bel destino, quello di Grane; ma alla fine, nel rogo finale del Walhalla, l'oro ritornerà al suo posto, nella Natura incontaminata, tra le acque del Reno. Così sarà anche di noi e delle nostre imprese umane, viene da pensare; non sappiamo però quando, anche se - è quasi sicuro - noi non ci saremo.





clic sull'immagine per ascoltare il finale di "Götterdämmerung"

(le illustrazioni wagneriane sono di Rackham)

martedì 8 novembre 2016

Swift, il bonsai salvato da Méliès



Amelie Nothomb

La salvezza appartiene al campo del più bizzarro mistero. Il 21 dicembre 2011 ho ricevuto in regalo un bonsai di raffinata bellezza. L'ho portato nel mio appartamento e l'ho battezzato Swift. Due settimane dopo Swift ha cominciato a morire. Sono corsa dalla venditrice autoproclamatasi specialista di quella specie che mi ha detto:

- Il suo bonsai è agonizzante.
- Lo so. Cosa mi consiglia?
- Niente.
- Ma ci sarà pure qualcosa che si può fare!
- Contro la morte?
- Non è ancora morto. Finchè c'è vita, c'è speranza.
Lei alzò gli occhi al cielo.

- Queste scemenze non valgono per i bonsai. Fin dall'infanzia ha vissuto torture che lei non può neanche immaginare. Non ci tiene più a vivere, capisce...
Mi resi conto che la venditrice era una depressa che attribuiva le proprie patologie alle sue piante, e me ne andai.
Per la strada, passai davanti a un cinema in cui davano Hugo Cabret di Scorsese.L'orario era quello giusto. Acquistai un biglietto e aspettai in fila con Swift in braccio. La gente mi guardava e scuoteva la testa. Venuto il momento, mi accomodai in sala. Swift, sulle mie ginocchia, sembrava sul punto di esalare l'ultimo respiro. Osavo appena immaginare i tormenti che gli erano stati inflitti durante la crescita per ridurlo alla condizione di bonsai. Il fatto di apprezzare questa specie torturata la dice lunga sul nostro grado di sadismo.
Cominciò il film. La prima metà mi piacque poco ed ebbi quasi la tentazione di addormentarmi. Al cinema si dorme molto meglio che a letto: è un sonno cosciente. Ma la seconda parte mi entusiasmò da matti e fui svegliata in preda a emozioni lunari. La figura di Méliès mi riconciliò con la conquista dello spazio e uscii dalla sala esultante. Tra le mie braccia Swift manteneva un silenzio meditativo.
Una volta a casa depositai la mia pianta di compagnia accanto alla caffettiera e continuai la mia vita. L'indomani il bonsai era resuscitato. Solo che non è più un bonsai. Ne ha sempre il corpo gracile, ma ormai produce delle foglie grandi come quelle di un baobab. Scorsese lo ha lberato dal maleficio della piccolezza.

Amelie Nothomb, La nostalgia felice, ed. Voland

Méliès, L'homme à la tête en cahoutchouc (Star Film, 1901)

domenica 6 novembre 2016

Biblico


Ecco, l'ippopotamo, che io ho creato al pari di te,
mangia l'erba come il bue.
Guarda, la forza è nei suoi fianchi
e il suo vigore nei muscoli del ventre.
Rizza la coda come un cedro,
i nervi delle sue cosce s'intrecciano saldi,
le sue vertebre, tubi di bronzo,
le sue ossa come spranghe di ferro.
Esso è la prima delle opere di Dio;
il suo creatore lo ha fornito di difesa.
I monti gli offrono i loro prodotti
e là tutte le bestie della campagna si trastullano.
Sotto le piante del loto si sdraia,
nel folto del canneto e della palude.
Lo ricoprono d'ombra i loti selvatici,
lo circondano i salici del torrente.
Ecco, si gonfi pure il fiume: egli non trema,
è calmo, anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca.
Chi potrà afferrarlo per gli occhi,
prenderlo con lacci e forargli le narici?
(Libro di Giobbe 40, 15-24) (traduzione da La Bibbia di Gerusalemme, 1983, edizioni Dehoniane Bologna)

(fotografie di Lewis Hine)

venerdì 4 novembre 2016

Ma cosa sono i lupini?


foto scattata da G. Verga ( 1911 )
" Padron 'Ntoni adunque, per menare avanti la barca, aveva combinato con lo zio Crocifisso Campana di legno un negozio di certi lupini da comprare a credenza per venderli a Riposto, dove compare Cinghialenta aveva detto che c'era un bastimento di Trieste a pigliar carico. Veramente i lupini erano un po' avariati; ma non ce n'erano altri a Trezza, e quel furbaccio di Campana di legno sapeva pure che la Provvidenza se la mangiavano inutilmente il sole e l'acqua, dov'era ammarrata sotto il lavatoio, senza far nulla;
(...)
Allorché la Longa seppe del negozio dei lupini, dopo cena, mentre si chiacchierava coi gomiti sulla tovaglia, rimase a bocca aperta; come se quella grossa somma di quarant'onze se la sentisse sullo stomaco. Ma le donne hanno il cuore piccino, e padron 'Ntoni dovette spiegarle che se il negozio andava bene c'era del pane per l'inverno, e gli orecchini per Mena, e Bastiano avrebbe potuto andare e venire in una settimana da Riposto, con Menico della Locca. Bastiano intanto smoccolava la candela senza dir nulla . Così fu risoluto il negozio dei lupini, e il viaggio della Provvidenza, che era la più vecchia delle barche del villaggio, ma aveva il nome di buon augurio. Maruzza se ne sentiva sempre il cuore nero, ma non apriva bocca, perché non era affar suo, e si affaccendava zitta zitta a mettere in ordine la barca e ogni cosa pel viaggio, il pane fresco, l'orciolino coll'olio, le cipolle, il cappotto foderato di pelle, sotto la pedagna e nella scaffetta
."


Per uno studente o per un lettore italiano che non sia nato al Sud, sono tante le parole misteriose de "I Malavoglia". Alla "sciara", il terrazzamento lavico dove Maruzza la Longa aspetta inutilmente il ritorno del marito, e alla "Puddara", la stella polare che 'Ntoni vede prima di abbandonare per sempre la casa del Nespolo, si sommano i "lupini"di zio Crocifisso. Insegnanti  ignari, allo sbaraglio quanto i loro alunni, e vaghe o del tutto assenti note nelle edizioni critiche del romanzo hanno  finito per infittire il mistero  sul carico trasportato da Bastianazzo con la Provvidenza.

Cosa sono dunque i lupini e perchè Verga li ha legati al primo sfortunato tentativo di riscatto della famiglia Toscano?

mercoledì 2 novembre 2016

Cani e sciacalli


All'inizio dell'era neolitica compare il primo animale domestico, un piccolo cane addomesticato solo a metà, simile a un volpino, che certamente discende da uno sciacallo. (...) Ma come è avvenuto l'incontro fra l'uomo dell'età della pietra e il suo cane? Probabilmente nell'era paleolitica grossi branchi di sciacalli seguivano le orde dei cacciatori nomadi circondandone gli insediamenti, come fanno ancor oggi i "cani paria" che nessuno sa se vadano considerati dei cani domestici rinselvatichiti, oppure dei cani selvatici che hanno fatto il primo passo verso l'addomesticamento. (...)