sabato 1 ottobre 2016

Spulciare i porcospini salva la vita

Maria Christine guardò per qualche tempo, senza il minimo timore, le due lacere figure, poi tirò di nuovo il padre per il giustacuore e domandò:
" Babbo che gente è? Son brava gente? Io non li conosco ".
" E' gente che cerca lavoro qui alla tenuta " le spiegò il cavaliere svedese.
Il Collotorto s'accovacciò a terra dinanzi alla figlia del suo antico capitano e incominciò a parlare con lei.
" Piccola principessina! " disse, " Sei bianca e rossa in volto come il più bello dei tulipani. Dimmi, cos'altro sai fare oltre a saltellar da una gamba all'altra? ".
" So leggere nel sillabario " disse  Maria Christine, salendo su un ciottolo per sembrare più alta. " So ballare la courante e la sarabanda, e so anche suonare il clavicordio, ma solo un poco, ho appena cominciato, e tu che sai fare? ".
" Io conosco mille arti " si vantò il Collotorto. " So spulciare un porcospino e ferrare un'oca. Alle cavallette faccio dei grembiulini colorati, e mi basta fischiare perchè i pesci vengan fuori dalla peschiera tutti in fila. "
Maria Christine rimase a bocca aperta e guardò il Collotorto con gli occhioni sgranati. Poi indicò il Mammola.
" E quello là? Che cosa sa fare? ".
" In un amen lui sa trasformare le salsicce lunghe in salsicce corte, questa è l'arte che conosce meglio " rise il Collotorto. " Però sa anche ragliare come un asino e sibilare come un'oca. E con la bocca ti fa sentire come fanno un cane e un gatto quando litigano ".
" Lo voglio sentire, come fanno un cane e un gatto quando litigano " implorò Maria Christine.
Il Mammola non si fece pregare. Si diede a ronfare e abbaiare e soffiare, e poi ringhiare e latrare e ululare, sempre continuando a soffiare rabbiosamente, e quand'ebbe finito, e il cane se la fu squagliata con alti guaiti, Maria Chistine congiunse le manine estasiata, saltellò da una gamba all'altra ed esclamò giubilante: " Non potete andar via, non voglio che ve ne andiate, il cane e il gatto non sanno fare meglio di lui, dovete rimanere qui alla tenuta. E ricordatevi bene, la servitù va a tavola alle dodici in punto e la sera alle sei, ci sono regole severe, chi a quell'ora non è lì col suo boccale, resta senza la birra ".
Il cavaliere svedese guardava con stupore alla confidente amicizia che così in fretta era sorta tra sua
illustrazione di Roberta Angeletti
figlia e i suoi due cenciosi compagni. Il cuore gli s'allegerì. Quei due uomini che avevano fatto tanto i buffoni dinanzi a Maria Christine per farla ridere, quei due non lo avrebbero tradito, di questo era sicuro. E ora li vide per quello che veramente erano : due miseri fratelli di sventura in balia della strada maestra, venuti non per distruggere la sua felicità ma perchè speravano di aver miglior fortuna lì da lui che non andando a elemosinare un boccone di pane in casa di estranei. E i pensieri omicidi, fugati da una risata infantile, sgomberarono il suo animo.

Leo Perutz, Il cavaliere svedese, ed. Adelphi  ( info )
traduzione di Elisabetta Dell'Anna Ciancia

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